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Il 6 maggio 1976, alle 21:00, la terra tremò con una violenza spaventosa sotto i piedi del popolo friulano. Un terremoto di magnitudo 6.5 devastò il Friuli Venezia Giulia, seminando morte e distruzione in decine di comuni, tra cui Gemona del Friuli, Venzone, Osoppo e Tricesimo. Quella notte, che i friulani ricordano ancora oggi con un nodo alla gola, si portò via quasi mille vite, lasciando oltre centomila persone senza casa e radendo al suolo interi centri storici. Il popolo friulano diede un nome a quella forza distruttrice: l’Orcolat, il mostro del sottosuolo.
Ma da quella tragedia emerse anche un’altra immagine, potente e incancellabile: quella di un popolo che, invece di cedere alla disperazione, si rimboccò le maniche e ricostruì, pietra dopo pietra, casa dopo casa, comunità dopo comunità. Fu un esempio straordinario di solidarietà, organizzazione e dignità, che colpì profondamente l’intera nazione.
Quell’esperienza segnò un punto di svolta anche a livello istituzionale. In un’Italia ancora priva di un sistema strutturato di intervento nelle emergenze, fu proprio il sisma del Friuli — insieme a quello dell’Irpinia nel 1980 — a muovere le coscienze e a porre le basi per una nuova cultura della prevenzione e della risposta alle catastrofi. Da queste esperienze drammatiche prese corpo una prima forma embrionale di Protezione Civile, sperimentale ma determinata, che negli anni avrebbe dato vita al sistema nazionale che conosciamo oggi.
A distanza di quarantanove anni, il ricordo di quella notte non è sbiadito. Vive nella memoria di chi l’ha vissuta, nei racconti dei figli e dei nipoti, ma anche nelle pietre ricostruite di Gemona e Venzone, simboli di una rinascita che è andata ben oltre la ricostruzione fisica.
Oggi, mentre onoriamo le vittime di quella immane tragedia, rendiamo omaggio anche a coloro che si misero in moto per aiutare, a chi scelse di restare, a chi tornò, a chi ricostruì. E rinnoviamo l’impegno, come volontari e cittadini, a non dimenticare mai quanto sia importante essere pronti, solidali, uniti.
Perché l’Orcolat ci ha insegnato che la vera forza di un popolo si misura nei momenti più bui.
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